Intervista a Vince Carpentieri

Vince Carpentieri: ‘No Words’ – Primo disco da solista –

  • Che cosa racconta ‘No Words’?
L’idea è nata in un periodo molto particolare della mia vita, una di quelle fasi in cui devi tirare le somme di ciò che è stato, e proiettarti verso quello che sarà.
E’ una strana sensazione, fino ad un attimo prima senti che la vita ti tappa la bocca, quando tutto finisce e puoi voltare la pagina, ti accorgi di non avere le parole per esprimere quello che hai provato fino ad allora.
Da questo nasce ‘No Words’, dal bisogno di esprimere tutte le emozioni belle e brutte che fino ad allora avevano caratterizzato la mia vita, con l’unico mezzo che so usare…la musica.
 

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  • Nel corso della produzione di ‘No Words’, quali sono state le tue esigenze per il disco?
L’unico obiettivo che mi sono imposto in fase di produzione è stato quello di circondarmi di musicisti a cui voglio bene e di lasciare loro tutto lo spazio di cui avevano bisogno per esprimersi. Sono stato felice di avere con me Massimo D’Ambra che ha curato la produzione esecutiva ed ha suonato synth e tastiere, Enrico Barbaro al basso e Mariano Barba alla bSatteria, tre tra i migliori musicisti che il nostro paese possa vantarsi di avere.
  • Quanto c’è di istintivo e quanto di prestabilito in ’No Words’? 
Penso che ‘No Words’ sia un disco prevalentemente istintivo, i brani sono tutti nati in maniera molto casuale, in autostrada, nel sonno, strimpellando sul divano, se vuoi posso farti ascoltare i memo sul mio telefono con le melodie originali! In realtà sono quasi sempre partito da una piccola idea cercando di svilupparla assecondandola il più possibile. Non è un caso che tutti i brani abbiano la struttura tipica delle canzoni, a me piace ascoltare prevalentemente quelle! Il discorso è un po’ più complesso per quanto riguarda gli assoli, quelli sono il frutto di molto lavoro, sarebbe stato decisamente più facile premere ‘Rec’ e cominciare a ‘jammare’ poi correggere e tenere le tracce così com’erano, ma volevo che nessuna nota fosse lì per caso. Ogni nota doveva essere funzionale all’emozione che di volta in volta provavo ad esprimere, quindi ho registrato i provini nel mio studio ho imparato tutte le parti, le ho praticate per qualche settimana e poi le ho registrate tutte d’un fiato. E’stato divertentissimo!
  • Puoi dirci qualcosa riguardo a:’Dr Funkestein’? 
Dr. Funkenstein è un gioco! E’ il brano più vecchio del disco, il tema è stato scritto nel 1999 mentre l’arrangiamento risale al 2004. Il nome fa appunto il verso al personaggio del  ‘dottor Victor von Frankenstein ‘di Mary Shelley. Mi piaceva l’idea di accostare il tono serioso dei film sci-fi degli anni 70 all’allegria del Funk. Anche l’assolo di chitarra segue la stessa idea, è costruito cercando di alternare idee musicali molto orecchiabili a soluzioni melodiche molto complesse. Un tentativo di rappresentare l’ironia attraverso le note e… attenzione alla ghost track!
  • In che misura ti ha arricchito la collaborazione con altri musicisti partenopei?
Io ho studiato e vissuto in America e sono stato abituato ad un approccio alla musica molto diverso da come siamo abituati da queste parti, ma allo stesso tempo oggi ho la fortuna di vivere in un posto bellissimo: il centro storico di Napoli.  Il posto in cui vivo è stato la culla di fenomeni che hanno dettato legge  nella scena musicale italiana per almeno trent’anni, se parti dai Napoli Centrale, Pino Daniele, gli Osanna, fino ad arrivare ai 99 Posse, Daniele Sepe, Almamegretta…ricordo che da piccolo andavo a vederli suonare e per me erano talmente avanti! Quando ti capita di poter suonare con molti di questi artisti, inevitabilmente resti influenzato dalla loro capacità di ribadire, generazione dopo generazione, che il “suono”di questa città non ha pari, che le melodie di questa terra scavano così in profondità nell’anima che restano li per una vita. Io mi sento un mix di entrambe le influenze ed è inevitabile che anche la mia musica lo sia.
 
  • Qual è il filo conduttore che ti ha portato a seguire il rock? 
In realtà non è stata una scelta facile, il fatto è che per il mio lavoro di turnista  sono abituato a saltare quotidianamente da un genere all’ altro, e per quanto affascinante possa essere la versatilità, diventa difficile trovare un canale unico per convogliare quello che hai in mente. Per ‘No Words’ ho provato sviluppare ciascun brano con diverse soluzioni di arrangiamento, pian piano ho cominciato a notare degli elementi comuni che venivano fuori ed ho fatto in modo che fossero quelli il filo conduttore di tutto il progetto. Il fatto che ne sia venuto fuori un disco Rock mi rende felice, la musica rock mi ha avvicinato allo studio dello strumento ed anche se in alcuni periodi mi sono dedicato ad altri stili musicali, il Rock’n Roll é il Rock’n Roll baby!!! ahahahah
  • Ti definisci un accademico?
Se ti riferisci alla conoscenza musicale, allo studio ed alla disciplina assolutamente si! Sono molto rigido rispetto alla disciplina e credo che praticare un’arte sia un modo per fare crescere l’anima. Adoro passare il tempo a studiare e cercare di capire le regole della musica ma allo stesso tempo sono fermamente convinto che la musica più bella sia stata scritta da gente ritenuta accademicamente “ignorante”…in fondo le regole sono lì per essere trasgredite, non credi?
  • Ascolti musica indipendente italiana? Se sì, c’ è una band o un artista che apprezzi in particolare? Perché? 
In verità la ascolto molto poco, non ti nascondo che giro spesso sul web in cerca di qualcosa di interessante ma nel novanta percento dei casi mi capita di imbattermi in gruppi o artisti che si definiscono indipendenti solo perché non riescono a produrre qualcosa che possa interessare alle major! Gruppi che cercano di fare il rock…ma che il volume non sia troppo alto, il pop…ma che non sia troppo commerciale, il rap politicizzato…ma che non faccia incazzare nessuno, altrimenti il contratto chi ce lo fa?! Il mio concetto di ‘indipendente’ si basa sul principio di avere una forte visione musicale, di artisti che restano fedeli alle loro idee che i dischi li vendano o no ed oggi ne vedo davvero pochi. In questo periodo mi sono imbattuto in una giovane chitarrista acustica Nan Bulan, suona con una tecnica molto simile a quella di Michael Hedges, credo che abbia la giusta attitudine e spero di sentire presto un suo disco, mi piacciono molto gli Hesitant Ballad e vorrei avere i suoni dei Mesmerico.
  • Preferisci suonare ‘live’ o in studio? 
Sicuramente live! Anche se lo studio ti permette di avere più tempo a disposizione per sperimentare nuove soluzioni, il live resta sempre un momento di grande impatto emotivo, soprattutto se stai suonando la musica che hai scritto tu.
  • Quali sono i tuoi primari obiettivi professionali? 
Da quando ho finito la produzione di  ‘No Words’ mi sono avvicinato molto alla musica delle colonne sonore, mi piacerebbe imparare a scrivere musica per il cinema.
  • Progetti in corso? 
Per il prossimo Autunno conto di pubblicare il mio secondo manuale didattico, un metodo completo per lo studio della chitarra ritmica che non sia incentrato su di un genere in particolare. In questi anni di insegnamento mi sono reso conto che gli studenti hanno bisogno di concetti semplici ed immediati, cosa che nonostante passi il tempo sembra non essere una priorità della didattica musicale italiana.
  • È in programma un tour per promuovere il tuo primo disco da solista? 
A metà maggio partirò, con il mio trio, per una decina di date promozionali nei capoluoghi italiani. Dovremo ridurre il carico durante l’estate per lasciare spazio agli impegni da turnista di ciascuno di noi per poi tornare a pieno regime in autunno.
Ingrid Pagliarulo

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